giovedì 31 marzo 2011

televisione o libertà?

Non so se a voi è mai capitato, ma ogni tanto mi sembra di essere osservata da centinaia di occhi invisubili: stanno lì, incollati dietro a telecamere che ci monitorano giorno dopo giorno, a leggere, spiare e registrare tutti i miei movimenti, silenziosamente catalogandoli sotto la lettera "C". Li sento, nascosti dietro ai portali che visito abitualmente, alle strade che percorro a memoria, alle vetrine nelle quali mi rispecchio come per caso, alle telecamere che osservano i tipi di verdura che compro in un supermercato di provincia.

Non c'è nulla da fare, solo essere consapevoli di essere vittime di una società sempre più vojeurista ed apprezzare il fatto di saperlo. Perchè - e mi viene spontaneo il paragone - pensate a Truman, l'ignaro protagonista del capolavoro di Peter Weir (The Truman Show, 1998), cosa deve significare essere il personaggio principale di un reality show senza saperlo?

Per Truman è proprio così: la sua vita non ha nulla di vero, in quanto governata da un regista-dio onnipotente e costantemente spiata da centinaia di telecamere che la proiettano nelle case di tutto il mondo. E così, prima che i reality diventassero un nuovo modo di fare televisione, Weir ci stupisce raccontando una favola (reale) dei nostri giorni che dovrebbe fare pensare e riflettere: la curiosità dei telespettatori che vogliono osservare, sapere, conoscere, entrare in una vita che finiscono quasi per non rispettare più, l'essere spietato di un regista-autore che crede di potere gestire la vita di quello che considera come "suo" figlio, l'ostinazione di un uomo che vuole vivere la sua verità.

Commovente, terribile, e straziante il dialogo finale tra il Creatore di uno show televisivo e la star, che scopre che non c'era verità nella sua vita e forse non ci sarà nemmeno nel mondo reale: ha paura, non sa se rimanere o andare eppure, con un atto di grande coraggio, si congeda dal suo pubblico con un inchino e inizia a vivere

A tutti coloro che - ogni tanto - pensano di non essere liberi fin in fondo.

martedì 22 marzo 2011

come una fenice

Una cosa che mi ha sempre affascinato sono i contrasti e le contraddizioni insite nell'essere umano.Il lato buio, oscuro, lo ying-yang, l'essere che si evolve e finisce per diventare altro.

Pensiamo alla danza classica, ad esempio: che dire, poesia, eleganza, corpi statuari che diventano energia, note che scivolano addosso. O almeno così ci è sempre stata presentata al cinema che si è focalizzato sul suo lato leggero e poetico, su tutù bianchi che spiccano il volo, leggeri e quasi privi di alcuna carnalità. Ma la danza non è solo questo e il film di Aronofskj, The Black Swan, lo dimostra, mettendo in luce la fatica, i piedi distrutti da ore di prove e punte di gesso, la necessità di avere un totale controllo di corpo e anima, la rivalità tra colleghe e l'ingannevolezza del successo, che si conclude con un semplice spegnersi delle luci.

Ma ciò che è affascinante e quasi seducente nel film di Aronofskj è la lotta umana per vincere ed affermarsi sul proprio io, il desiderio di liberarsi del proprio corpo, di cambiare carne e trasformarsi in qualcosa che si sente pulsare nelle vene. E' il processo attraverso cui il cigno bianco - innocente e casto - si trasforma in quello nero, sensuale e carnale. Il momento in cui l'adolescenza trapassa nella maturità e in una rinascita che significa anche "morte". Perchè il cambiamento, l'evoluzione, non può che essere rappresentato dalla fenice che brucia e poi rinasce dalle proprie ceneri.

Dedicato a tutti colori che stanno bruciando, o che sono rinati più volte. A tutti coloro che, per qualche inspiegabile motivo, sanno di essere un po' fenici.

lunedì 14 marzo 2011

Salire su un ring - The fighter

Amo i film sulla boxe, lo ammetto: film di eroi moderni che prendono a cazzotti la vita e sfidano qualcosa di molto più importante di un avversario. Boxe e film è un'unione spettacolare, forse perchè il genere di sport lo è: non ci sono appelli, secondi tempi, gironi di ritorno, nulla. Si sale sul ring e ci si gioca tutto fino in fondo, sapendo che quello che è c'è in campo è più di un titolo, ma la vita stessa. Quella da cui si proviene e quella che batte dentro ad ognuno di noi.

Di film sull'argomento ne sono stati fatti a decine, eppure qualcosa di nuovo è stato detto recentemente dal film The Fighter (David O. Russell), il vero trionfatore (almeno per ciò che mi riguarda) agli Oscar 2010.

Storia (vera) di Mickey Ward e suo fratello Dicky (spettacolare e irriconoscibile Christian Bale), tutti e due pugili, tutti e due vittime di una madre manager e di una famiglia di sole donne, tutti e due che cercano il proprio percorso. Dicky l'ha trovato in una vittoria contro Ray Sugar Leonard e poi nel crack, discesa negli inferi di un uomo troppo debole. Il secondo invece lo trova nel riscatto che lo porta lontano dalla famiglia e dal fratello, gli insegna un nuovo modo di amare e lo fa diventare non solo campione del mondo, ma uomo. Perchè la boxe è uno sport da grandi e solo crescendo si può vincere, anche contro se stessi.

Bel film, che insegna tanto sui rapporti familiari più che sulla boxe, vera e propria metafora della vita: a tutti coloro che sono andati lontano per ritornare alle loro origini.

martedì 8 marzo 2011

festa della donna: per tutte noi che corriamo con i lupi

Oggi, e non solo oggi, sono orgogliosa di essere donna. O femmina, come a volte ci chiamate voi uomini in modo ironico e sprezzante. Consapevolmente innamorata del mio essere femminile, di quel "sentire" che ci accomuna tutte, lontane e vicine, al di là di differenze culturali, religiose, anagrafiche, sociali e di razza. Semplicemente donne.

A tutte noi, ma proprio a tutte, dedico e consiglio un film unico , acclamato a Venezia e candidato all’Oscar 2010 come migliore film straniero: La donna che canta (Incendies) di Denis Villenuve. Film che colpisce, commuove e ferisce, è la storia (forse un po’ troppo strutturata ed inverosimile) di una donna libanese, Nawal, il cui cuore arde fino a farle rischiare anche la sua stessa vita, di una figlia che non ha paura di conoscere la verità e di un Paese distrutto da un conflitto.

Nawal siamo tutte noi, vittime d’amore e d’odio, coraggiose e ostinate, animate da una forza che non ha nome ne’ limite e che ci manda avanti, giorno dopo giorno. La sua storia – in un Libano devastato da conflitti - non può essere la nostra, eppure ci si riconosce in lei, nelle sue scelte azzardate e istintive, nel suo “sentire” prima di “capire”, nella freddezza apparente nella quale si rinchiude nella seconda parte della sua vita, quella dedicata ai due gemelli Jeanne e Simon.

Eppure il destino la perseguita e con un atto finale inverosimile ma di disumana bellezza la tramortisce: il cerchio improvvisamente si chiude, ed è il momento in cui tutto è chiaro, quello che ognuna di noi cerca, in se stessa o nel mondo che ci circonda.

Un film sull’amore che vince sull’odio, sul bisogno e la voglia di ritrovarsi, dedicato a tutte quelle donne che “corrono con i lupi”, l’essere “naturale” e selvaggio che si nasconde in ognuna di noi. E - perché no – dedicato anche a quegli uomini che sanno correre con le donne.

http://www.youtube.com/watch?v=FpccF5GCzJI

venerdì 4 marzo 2011

Primavera

Aria di primavera, sottile e timida, che s'infila tra le persiane, sotto le lenzuola, nelle fessure dimenticate e ci sorprende, immobili nel nostro gelo invernale. Aria di rinnovamento, di desideri sopiti che riemergono, di freschezza e di una danza leggera.

Film che ricollego a questo stato d'animo è IO BALLO DA SOLA (Bernando Bertolucci), intepretato da una semi esordiente (e bellissima) Liv Tyler nel ruolo di Lucy, giovane e poetica ragazza di 18 anni che sconvolge la vita di un casolare in Val D'Orcia, dove vive un gruppo di artisti amici della madre. Lucy, con la sua sensualità innocente, tocca gli spiriti, arrossisce, si muove alla ricerca delle proprie origini e il germogliare di qualcosa di nuovo, che semplicemente non può non accadere.

Film primaverile per eccellenza, capace di trasmettere la sensazione delicatissima di una vita che ribolle, intensa e piena di energia, è la storia di una nuova stagione che incontra, per un breve istante, un'altra che sta finendo. Si sfiorano appena, quasi per caso, eppure dopo nessuna delle due sarà più la stessa.

Consigliato a chi si ferma in mezzo allla strada, si slaccia la giacca e annusa l'aria: ecco, quella è la primavera.

giovedì 3 marzo 2011

il desiderio dell'onda

Cosa manca a noi cittadini di città sempre meno umane? Ogni tanto, come questa mattina, me lo domando. Poi arriva l'intuizione, quel momento in cui senti quello che davvero ti manca: un'onda.

Sì, proprio così: l'emozione di un'onda fragorosa, potente ed azzurrissima che si abbatte davanti al tuo naso. Un'onda che significa elettricità, fantasia, libertà, voglia di ricominciare, di volare, di sentirsi per qualche istante sole, vento, acqua e spuma. Un'onda da guardare e cavalcare con i capelli al vento e la pelle che cerca sole, ancora e ancora.

A tutti quelli che "sentono"il richiamo dell'onda, consiglio di vedere "Point Break" di Katryn Bigelow, un film che è un vero e proprio inno alla libertà, alla voglia di vivere (anche se pericolosamente), di amare, di rischiare.

Point Break è il punto di rottura, il punto di non-ritorno, l'attrazione per l'acqua che apre e chiude il film, ma anche per qualcuno di totalmente diverso da noi, che ci mostra un lato di noi stessi impensato ed impensabile.

Storia di un gruppo di surfisti che rapinano banche e di un poliziotto che, per incastrarli, si unisce a loro appassionandosi al loro stile di vita e al surf, storia di un'amicizia pericolosa che non può essere ma nemmeno non essere, di una sfida con la morte e la vita sempre più incalzante, sempre più intensa, sempre più appassionante.

Altamente consigliabile a chi ha voglia di quel "qualcosa in più"